














Leggendo il capitolo riguardante la “strada”, in Specie di spazi, si scopre una parte dedicata alle esercitazioni nella quale sono esplicati dei consigli riguardo il giusto saper osservare. Nella mia persona, prima di questa lettura, era innata la presunzione di conoscere alla perfezione determinati posti o luoghi senza però aver fatto le dovute analisi e riflessioni suggerite da Perec. Subito dopo aver terminato il libro è come se si fosse ingaggiata una fervida competizione tra me e Perec riguardo la consapevolezza di conoscere alla perfezione determinati luoghi, o meglio spazi.
Per questo motivo un giorno ho deciso di sedermi su una panchina di una strada, la quale la sento molto vicina (per vari motivi). Ed è proprio quì che mi soffermo ad osservare tutto con molta calma e, in modo sistematico, inizio ad annotare tutto ciò che si vede e mi colpisce. (Se questo non accade dice Perec che non sappiamo vedere!). In questa paziente attesa pure le cose più ovvie, più comuni ("per noi architetti") possono assumere grandi valori; Infatti la mia attenzione viene attirata da un palazzo in stile liberty che sinceramente non avevo mai analizzato così scrupolosamente pur passandoci d'avanti dalle 5-6 volta al dì. Dopo l'attenta analisi architettonica inizio a bombardarmi la testa di domande quando noto le tante finestre poste sulla facciata! ”Chissà chi abiterà in quella in alto a sinistra?; quello che abita nella seconda a destra sarà un gran cultore di musica? visto che alle otto di mattina spara a manetta la nona sinfonia di Beethoven, e che bell’impianto che ha, visto la pulita diffusione del suono; la signora del piano terra avrà sicuramente gente a pranzo visto l'odorino;....e poi ancora: perche hanno deciso di vivere in quel palazzo? come saranno arredati i diversi appartamenti? come saranno divisi?” Non inserisco le "ecc. ecc." perchè dice Perec che: "ognuno si deve sforzare di concludere ogni argomento, anche se dovesse sembrare futile", ma potrei continuare oltranza.
Le foto che ho in mente sono due:
Una viene scattata da una panchina posta frontalmente il palazzo e lo ritrae in maniera verticale, lasciando intravedere la facciata laterale in modo tale da far vedere il maggior numero di finestre possibile.
La seconda invece viene scattata da una seconda panchina che meglio ritrae la facciata laterale per meglio evidenziare la presenza delle suddette finestre.
La finestra viene un vista come una barriera che lascia, se aperta, passare alcuni indizi riguardo al contenuto dello spazio interno, e che solo attraverso il pensiero lento possiamo immaginare e darci delle risposte.
In questo modo ho voluto riallacciarmi alla prima esercitazione che vedeva protagonista lo "spazio frigorifero" che appariva come una sorta di porta spazio-temporale tra la casa dei miei genitori e la mia da studente fuorisede.
“Abitare una camera che cos'è? Abitare un luogo, vuol dire impossessarsene? Che significa impossessarsi di un luogo? A partire da quando un luogo diventa veramente vostro? Quando si sono messe in ammollo tre paia di calzini in un catino di plastica rosa? Quando si fanno riscaldare degli spaghetti su un camping-gas? Quando sono state usate tutte le grucce spagliate nel guardaroba? Quando si è fissata alla parete con delle puntine una vecchia cartolina che raffigura il Sogno di Sant'Orsola del Carpaccio? Quando vi si sono provati i tormenti dell'attesa, o le esaltazioni della passione, o i supplizi del mal di denti? Quando si sono appese alle finestre le tende di proprio gusto, e tappezzati i muri, e levigati i parquet?”
Questa serie di domande, probabilmente retoriche o forse solo prive di una risposta certa ed oggettiva, mi hanno portato a riflettere sul concetto di possesso dello spazio, sul processo conoscitivo attraverso il quale ci si impadronisce di un luogo.
Faccio le consegne a domicilio per una piccola pizzeria di quartiere ormai da due anni, e bene o male le strade che mi trovo a percorrere sono quelle in cui sono cresciuto, che riconoscerei fra mille.
La cosa che apprezzo maggiormente di questo mio lavoro è la possibilità di avere accesso a quegli spazi privati che ho sempre solo immaginato, valutato superficialmente dalla “copertina” e che, nella mia mente, assumevano determinate configurazioni.
Entrando in questi spazi scopro a volte ambienti simili a quelli che mi ero figurato, mentre spesso mi trovo a contraddire le mie supposizioni, meravigliandomi, positivamente o negativamente, delle realtà che incontro.
Ogni volta però, uscendone, porto con me la conoscenza di quello spazio, e quelle strade che prima erano solo percorsi, ora assumono nuovi significati.
Per la realizzazione del progetto ho scelto di rappresentare dal “confine” questi due mondi, fotografando il momento della scoperta e quello in cui, presa consapevolezza dello spazio, si osserva la strada con un' altro punto di vista.
Lo spazio. Non tanto gli spazi infiniti, quelli in cui il mutismo, a forza di protrarsi, finisce con lo scatenare qualcosa che assomiglia alla paura, e neppure i già quasi addomesticati spazi interplanetari, intersiderali o intergalattici, ma degli spazi molto più vicini, almeno in teoria: le città, per esempio, o le campagne o i corridoi della metropolitana, o un giardino pubblico.
Viviamo nello spazio, in questi spazi, in queste città, in queste campagne, in questi corridoi, in questi giardini. Ci sembra evidente. Forse dovrebbe essere effettivamente evidente. Ma non è evidente, non è scontato. È reale, evidentemente, e probabilmente razionale, quindi. Si può toccare. Ci si può perfino lasciare andare a sognare. Niente, per esempio, ci impedisce di concepire qualcosa che non sia né città né campagna (né periferia), o dei corridoi di metropolitana che siano al tempo stesso giardini. Niente ci impedisce d'immaginare un metrò in aperta campagna (ho perfino già visto una pubblicità su questo tema, ma - come dire? - era una campagna pubblicitaria). In ogni caso, è certo che in un'epoca probabilmente troppo lontana perché qualcuno di noi ne abbia conservato un ricordo un minimo preciso, non c'era niente di tutto questo: né corridoi, né giardini, né città, né campagne. Il problema non è tanto sapere come ci siamo arrivati, quanto semplicemente riconoscere che ci siamo arrivati, che ci siamo: non c'è uno spazio, un bello spazio, un bello spazio tutt'intorno, un bello spazio intorno a noi, c'è un mucchio di pezzetti di spazio, e uno di questi pezzi è un corridoio della metropolitana, e un altro di questi pezzi è un giardino pubblico; un altro (qui stiamo entrando in spazi molto più particolareggiati), originariamente di grandezza piuttosto modesta, ha raggiunto dimensioni piuttosto colossali ed è divenuto Parigi, mentre uno spazio vicino, non necessariamente meno dotato in partenza, si è accontentato di restare Pontoise. Un altro ancora, molto più grosso, e vagamente esagonale, è stato circondato da una grossa linea punteggiata (innumerevoli avvenimenti, alcuni dei quali particolarmente gravi, hanno avuto come unica ragione d'essere il tracciato di questa linea) ed è stato deciso che tutto quello che si fosse trovato all'interno della linea punteggiata sarebbe stato colorato di viola e si sarebbe chiamato Francia, mentre tutto quello che si fosse trovato all'esterno della linea punteggiata sarebbe stato colorato in un modo diverso (ma all'esterno del suddetto esagono, non ci tenevano affatto a essere uniformemente colorati: un pezzo di spazio voleva il proprio colore e l'altro ne voleva un altro, donde consegue il famoso problema topologico dei quattro colori, non ancora risolto oggigiorno) e si sarebbe chiamato diversamente (in realtà, per parecchi anni, si è molto insistito per colorare di viola - e nello stesso tempo chiamare Francia - alcuni pezzi di spazio che non appartenevano al suddetto esagono e che ne erano spesso molto distanti, ma, in generale, la cosa ha retto meno bene).
Insomma, gli spazi si sono moltiplicati, spezzettati, diversificati. Ce ne sono oggi di ogni misura e di ogni specie, per ogni uso e per ogni funzione. Vivere, è passare da uno spazio all'altro, cercando il più possibile di non farsi troppo male.
(Avvertenza da Specie di spazi di Georges Perec, Bollati Boringhieri, Torino, 1989-2002. pag. 11)